Attività Motoria all’Aria Aperta per Tutti, una bella mossa!

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Il prossimo 6 Maggio 2014 inizierà il Progetto
Attività Motoria all’Aria Aperta per Tutti!

Il progetto nasce all’interno delle iniziative della Rete Trevigiana per l’Attività Fisica “Lasciamo il segno”.

Presso il Parco di S. Artemio della Provincia di Treviso si svolgeranno delle LEZIONI GRATUITE* di varie discipline sportive rivolte a tutte le età.

Noi A.S.D. Tinh Vo Mon,
saremo presenti a partire dal 6 Maggio 2014
il sabato mattina dalle 9:30 alle 11:30;

e a partire dal 4 giugno 2014 anche
il mercoledì pomeriggio dalle 18:30 alle 20:00

Progetto Attività motoria piantina allegato
Sarà un’ottima occasione per praticare insieme immersi nella natura.
Vi aspettiamo!

Programma complessivo:
Calendario attività nel parco 2014

(*tessera di iscrizione e copertura assicurativa annuale per l’associazione scelta: 6€)

Fiore: Diario di viaggio

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Poco prima di Natale, Maurizio, Denis, Carlo, Igino, Fausto, Katia e Fiore sono andati in Vietnam. Per alcuni era la prima volta. Sarebbe stato carino da parte loro documentare il viaggio sia scattando qualche foto, riprendendo dei video e perchè no, redigendo un diario.
Fiore si è “offerto” di farlo; a seguire troverete le sue “memorie”. Nella nostra pagina Facebook, potrete inoltre trovare molte immagini.

Verso il Vietnam.
Nell’immaginario comune al Vietnam è legato il ricordo di quella guerra durata 15 anni, dove la più grande macchina bellica di tutti i tempi, l’America (USA) dovette alla fine ritirarsi sconfitta.
Una lotta impari contro un colosso che riuscì a sganciare più bombe che durante l’ultimo conflitto mondiale su questo lungo lembo di terra bagnato da mari miti e abitata da genti pazienti. Tanto pazienti al punto di costringere gli invasori ad una disastrosa ritirata e a proclamare la vittoria il 30 Aprile 1975 dopo aver dato un tributo immane di vittime durante e dopo il conflitto… Si, anche dopo, poiché le varie sostanze sganciate dai “B 52” e dagli altri mezzi militari hanno fatto nascere figli deformi: poveri angeli senza ali ma pur sempre angeli senza colpe se non quella di essere nati da un atto d’amore.
Il Vietnam è anche questo, ma non solo….

Partenza.
Che io fossi eccitato per il viaggio lo si può comprendere dal fatto che ho scordato i pantaloni nello spogliatoio il giorno prima della partenza. Quelli del kimono, per l’esattezza, ritrovandoli al mio ritorno.
La cronaca incomincia con la partenza da Venezia il 19 dicembre. Da solo, perché assolutamente sfigato quando si tratta di prendere aerei (vedi Ofir). È una bellissima giornata e voliamo verso il sole, Doha si avvicina.
15.45 sopra la Grecia, altitudine 10668 mt, velocità 864 Km/h, temperatura esterna -60°;
16.10 quasi quasi schiaccio un pisolino ma ho paura di russare e di rovinare così l’immagine degli italiani all’estero…
17.20 le hostess, da sole, valgono il prezzo del biglietto: carine, gentili e professionali! Sento si essere meno incazzato con Qatar Airways per la lunghezza del viaggio d’andata… sarà per l’effetto del vino o per quello della patata che mi sento più disponibile verso il genere umano?

Doha, notte.
Ho incontrato una coppia di fidanzati friulani che domani proseguiranno il loro viaggio verso Bangkok ed insieme abbiamo preso un taxi, raggiunto i rispettivi alberghi, concludendo il tragitto in prossimità del vecchio centro della città. Il luogo si chiama “Golden Suk” ed è quello delle fotografie, un posticino niente male dove siamo riusciti a consumare una cena in un ristorantino gestito da un egiziano. Grazie Serena e Michele per la vostra simpatica compagnia. Buon Viaggio! Buon Vento! Buon Tutto!
La mia camera è molto bella e mi sorprende il fatto che nel bagno ci sia un cartello che recita pressappoco così: l’acqua è un bene prezioso, non sprecatela! Singolare, a prescindere dal lusso…

Il giorno dopo ho visitato la città insieme a Charles.
Chi è Charles? Si tratta del tassista ghanese che avrebbe dovuto lasciarmi in aeroporto. Una volta giunto alle partenze internazionali e dopo essermi reso conto del fatto che gli altri sarebbero arrivati soltanto a notte inoltrata, ho chiesto a Charles di mostrarmi la città. Ho perduto tutte le fotografie scattate nel lungomare e con lo sfondo dei grattacieli e me ne rammarico ancora, mi resterà comunque il ricordo dello City Center e delle sue scale mobili e di tutti quei lavoratori stranieri che lo affollano nei momenti di riposo.
L’impressione che ne ho riportato è quella che i qatarioti non amino particolarmente i lavori della vile manodopera e che amino meno ancora vedere le loro donne lavorare, Doha è perciò densamente popolata da una miriade di filippini e cingalesi che fanno i lavori più umili e necessari.

10.45 Sono riuscito a fare il check in con largo anticipo e ad imbarcare la valigia grande. Sosta al bar Costa all’ingresso dell’aeroporto dove mi diverto a fantasticare sulle persone che passano e sugli avventori del locale. Le donne arabe sono graziose anche quando sono così imbacuccate nei loro abiti tradizionali: fascino e femminilità si adeguano alle esigenze culturali!
Qualche giretto outside, c’è vento, chi l’avrebbe mai detto che avrei dovuto indossare il giubbotto?
Dopo varie merendine mi decido a superare i controlli e ad entrare alle partenze: incomincia l’attesa del gruppo!
Dopo qualche ora trascorsa in giretti vari, profumato come una vecchia checca, poiché le varie promotrici commerciali, quelle che vendono profumi, mi hanno spruzzato di tutto, vado ad aspettare gli altri.

Arrivati! Alleluia! Ci siamo ricongiunti come parenti lontani (che stronzata ho scritto) e siamo andati a consumare un abbondante spuntino nell’attesa dell’alba e del nostro volo. Facce stravolte dalla stanchezza ma semo sempre bej!!!

Verso Saigon.
Abbiamo dormito tanto durante il volo, ma siamo comunque sfiancati dalla nottata in aeroporto e dal lungo volo, anche se gli anziani del gruppo sembrano avere più vitalità dei giovani (scusate se è poco).
Mentre sto’ scrivendo stiamo sorvolando il Myanmar: la meta si avvicina! Siamo avvolti dal sole anche se ci dicono che a Saigon sta’ piovendo, sono pervaso dall’euforia e così mi alzo e vado a controllare il resto del gruppo.

Dicembre, 21-22-23-24 Saigon.
E chi ha più il tempo di scrivere la cronaca del viaggio: Saigon è stupenda e caotica! Una città di venti milioni di abitanti ci ha accolto con tutti i suoi rumori e con i suoi odori. La cucina vietnamita è un qualcosa di indescrivibile e stupendo. Bisogna soltanto provarla. Qui, in Vietnam! Ci siamo nutriti e deliziati con i piatti più svariati senza mai restarne delusi!

Qui ci si muove con lo scooter, gli scooters sono milioni: milioni, giuro! E’ il mezzo più comodo nel traffico della città ed è davvero impressionante vedere le ripartenze ai semafori dove migliaia e migliaia di motorini partono ruggendo come tante Ferrari a due ruote.

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A Saigon ci aspettava Nga, la nostra cara “Gnan”, che ci ha fatto da chioccia allenandoci il mattino di buon’ora e portandoci poi dappertutto… che avremmo fatto senza di lei?
Abbiamo visitato il museo della guerra e visto gli effetti sulle persone delle sostanze che gli americani hanno bombardato al suolo. Non smetterò mai di pensare all’inutilità della guerra e alla sua barbarie, rifacendomi alle riflessioni fatte nel “90-“91 nellex Jugoslavia; cambiano le divise ma gli uomini sono sempre gli stessi!

Al mattino andiamo al parco ad allenarci con Gnan e con il suo vecchio maestro di Viet Tai Chi; i ragazzi fanno Viet Vo Dao con lei, mentre io Denis e Maurizio facciamo ventaglio con il maestro e siamo molto più fortunati di loro: Gnan non scherza quando si allena!

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E’ impressionante vedere quanta gente, fin dalle prime ore del mattino, fa qualcosa di salutare: chi con il ventaglio, altri con la spada, con il bastone, chi fa tai chi e chi invece pratia arti marziali di altro genere. Me l’avevano detto, ma vederlo è tutta un’altra cosa!

Sempre da turisti abbiamo visitato i tunnel dei Vietcong nella giungla: pochi budelli giusto per il marketing. Nulla a confronto di kilometri e kilometri scavati nella terra in cui palpitava la ribellione al sopruso, quasi la terra avesse un cuore nuovo, linfa dalla quale nacque la vittoria. Ma considerazioni a parte, la “gita” durò la bellezza di duecento kilometri. Tutti con lo scooter! Attraverso piantagioni di alberi della gomma. Culi quadrati, gambe molli, orecchi devastati dal rumore del traffico e, per il povero Igino, dalle mie grida, alla sera eravamo cotti.
A Saigon ho conosciuto “Tiger”, una bionda niente male, compagna di libagioni per tutto il resto della nostra permanenza.
Dopo questi intensi giorni, la sera del 24 dicembre siamo partiti per Nha Trang, la nostra destinazione: abbiamo preso il treno, le cuccette per la precisione ed io ho lasciato nel vagone la macchina fotografica ed un paio di vecchi occhiali da vista…

Nha Trang.
Bella, forse meno affascinante dell’incasinata Saigon, ma certamente più salubre. Credo venga considerata alla stregua di una Jesolo o Rimini del Vietnam, con tutti i suoi alberghi ed i turisti che provengono dai paesi più svariati: Russia, Corea, Cina, Europa, America e lo stesso Vietnam! Il mare è incazzoso ma bello, credo si tratti del Mare della Cina, io però non lo vedrò perché anche questa volta mi tocca una camera senza finestra… fanculo l’economia!

La Gnan è un sergente di ferro, incominciamo gli allenamenti con lei alle 6,30 del mattino fino alle 8,00; noi ci alziamo presto, ci troviamo tutti giù fuori dell’albergo alle 6.20 e poi andiamo con lo scooter fino ad un grande spiazzo in riva al mare dove la nostra aguzzina ci attende per farci lavorare.
Io e Katia (ci ha raggiunti a Saigon il 24) facciamo una forma di spada che, complice il mare e la sua bellezza, non abbiamo ancora, a tutt oggi metabolizzato; ai ragazzi va peggio: Gnan è sempre più esigente, mano mano che cresce l’allenamento crescono le sue pretese (ah ah ah), calci pugni e parate a non finire…
Alle 8.00 finisce l’allenamento e si va a fare colazione al Me Trang, sulla rotonda dopo il ponte verso la palestra del maestro Dong Vu. Li abbiamo conosciuto Thi Ut (Vu), che ride sempre… mi guarda e ride, sarò così buffo mi chiedo io? Beh, the a parte, è tutto molto buono.

Dong Vu…
Il mitico Dong Vu ci accoglie simpaticamente, felice di rivedere il nostro maestro e Denis. E’ un signore anziano e molto magro ma possiede un’energia immensa.
Ha anche una fidanzata giovane e bella, beato lui che ce la fa ancora…
I suoi allievi sono quelli delle fotografie: quattro fratelli, due sorelle e due maschi e un ragazzo magro magro un po’ idisciplinato ma decisamente simpatico.

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Welcome.
Questa è la mia storia, la storia di un signore di mezza età che si reca nel lontano oriente credendo di trovare chissà cosa e che, d’un tratto, diventa “welcome”… lo diventa non perché “friendly” o simpatico. Lo diventa perché incontra lui, il tappettino del khi cong, dove trascorrerà ore e ore (dalle 10.00 a mezzogiorno e dalle 16.00 alle 19.00) a fare i suoi esercizi. Imperterrito ed imperturbabile, quasi il mondo fosse cosa secondaria rispetto a quell’idillio con welcome.
Ma tutto insegna e tutto aiuta nel misterioso oriente…

A Saigon credevo di aver mangiato divinamente, ma non avevo ancora fatto i conti con la Gnan…

Gnan è una cuoca superlativa!

Brava, fantasiosa, pulita e attenta. Gnan ci ha condotti per le delizie di una cucina sana ed essenziale ma dal sapore divino. Domanda: siamo per caso noi italiani quei presuntuosi che dicono che la dieta mediterranea sia la più sana del mondo? Cazzate! Scusate, ma quando ci vuole, ci vuole! Riso, pesce, poca carne e tanti vegetali; niente pane, solo al mattino con le “ovette”e delle verdure da panico, saporite e profumate. Dieta mediterranea? Ma mi faccia il piacere!!!

E che dire dei bambini?
Io che li adoro ho visto tanti bei musetti sorridenti e non mi stancavo mai di fotografarli, quali assistessi ad un miracolo ogni volta e temessi mi scomparissero di colpo tanto sono belli e dolci.
Ma anche le ragazze non sono niente male… e non se la tirano come le loro colleghe italiane che sembrano detenere il “monopolio dea fritola”!
Sanno di essere belle e autentiche, perché barare?
Fanno anche degli ottimi massaggi.

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Abbiamo concluso il nostro soggiorno a Nha Trang offrendo una bella cena cucinata dalla Gnan al maestro Dong Vu e ai suoi allievi, poi tutti al karaoke dove Carlo ha dato il meglio di sé… poveri orecchi: è riuscito a cantare in vietnamita!

Il 3 gennaio siamo tornati a Saigon!
Cavolo che malinconia!

Si stava così bene a Nha Trang.
Beh, a Saigon siamo stati capaci di uccidere un cobra e di cibarcene… ne provo ancora il rimorso. Secondo me è un vero delitto uccidere un animale così regale per soddisfare un capriccio da turisti, ma l’ho mangiato anch’io ed è inutile fare l’ipocrita a cose fatte… no lo rifarò, anche se il gusto non era niente male (ah ah ah) povero cobra.
In un ristorante dove avevamo pranzato, io e Katia abbiamo voluto assaggiare due “scios” giganti, delle lumache mai viste ma deliziose.

Nel nuovo albergo avevo la finestra. Finalmente!

Le fotografie documentano un altro momento di assoluto relax: Gnan mi ha preso per mano e mi ha condotto in un salone di barbiere, credevo di farmi la barba e invece…. Caspita, è successo di tutto! Barba, peeling, maschera di bellezza, pulizia chirurgica degli orecchi e infine massaggio!

Era l’epilogo: dopo giorni meravigliosi il rientro!!!

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Il Ventaglio in “pillole” 3° puntata

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I petali di un fiore che cadono senza produrre rumore sul muschio, un suono che dev’essere udito nelle profondità di una montagna… questa è la perfezione richiesta nell’arte del ventaglio.

Vogliamo iniziare al meglio questo nuovo anno accademico con uno stage di Ventaglio; come nelle precedenti occasioni, ho sbirciato dalla tesi del nostro Maestro “La gru rossa coglie il vento” e vi propongo ancora un capitolo; potremo avere qualche informazione in più su questa “arma”.
Vi aspettiamo domenica 20 Ottobre, ricordo che possono partecipare tutti i praticanti anche quelli alle prime “armi”.

Buona lettura!

Il ventaglio in oriente (Cina e Vietnam)

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Secondo la testimonianza dello storico Ssu-ma Ch’ien (dinastia Han 163-85 a.C) ed il confuciano Han Yu (Dinastia T’ang) l’uso del ventaglio in Cina risale circa al 3000 a.C.

Fu usato in ogni gruppo sociale, dall’imperatore fino all’umile operaio.

Aveva disegni, colori e forme particolari adeguati al ceto sociale o alla professione e si trasmetteva di generazione in generazione. Lo si poteva trovare sia nelle cerimonie religiose che nelle cerimonie del tè. Infatti era considerata grave mancanza essere senza ventaglio in tali occasioni o astenersene dall’uso.

Il “Ti-Ki” o “Libro dei riti” attribuisce la genesi del ventaglio all’Imperatore Hsien-yang, salito al trono nel 2699 a.C., e riporta una diffusa leggenda cinese: durante la “Festa delle lanterne” una fanciulla, figlia di un mandarino, sentendosi venir meno per l’eccessivo caldo, toltasi la maschera, cominciò a sventolarsi per avere un po’ di refrigerio; le altre bellezze della corte subito la imitarono. In Cina si hanno due specie di ventagli, oltre a quelli fatti con foglie di palma, penne ecc.: i ventagli rotondi, fissi (t’uan shan) originali cinesi ed i ventagli pieghevoli (che shan), importati dalla Corea sotto l’imperatore Yung-lo (Dinastia Ming – 1403 d.C.).

I primi calligrafi e decoratori di ventagli furono gli antichi artisti delle dinastie “Chou” ed “Han”; da allora gli ideogrammi sono stati un ornamento costante, sempre in evoluzione, dai tratti pesanti e quadrati all’elegante slancio delle linee allungate. Questi oggetti raffinati, nelle suggestive sfumature, nel segno appena delineato, nell’intenso cromatismo, fondono pittura e poesia. Sul finire della dinastia “Han” (206 a.C.- 221 d.C.) una dama di corte, dopo essere stata la favorita dell’imperatore, quando fu abbandonata non poté tener celato più a lungo il suo dolore ed inviò all’imperatore un ventaglio circolare, su cui erano stati scritti i versi che mettevano in luce il contrasto tra l’estate del loro dolce amore e l’autunno dell’amaro distacco. Questa poesia è così popolare in Cina che l’espressione “ts-iu-hou-san”, “ventaglio di tardo autunno”, significa ancor oggi “donna abbandonata”.

Per più di un millennio, dal periodo “Asuka” (552 – 646 d.C.) a quello “Edo” (1615-1867) perfino l’arte giapponese risentì delle creazioni cinesi, assimilandole e trasformandole fino a farne delle creazioni autonome.

Dai cinesi il ventaglio viene utilizzato anche per il combattimento e per espressioni artistiche come la danza. Questi due aspetti si sono fusi in una disciplina del movimento che si è tramandata nei secoli fino ai giorni nostri sotto varie forme. Pare che il ventaglio pieghevole sia arrivato nel X secolo in Cina, dove le donne, ma anche gli uomini, utilizzavano ventagli rotondi fatti di penne d’ uccello, di foglie, o di carta e seta. Le stecche del nuovo tipo di “Shan Zi” erano generalmente di bambù , ma potevano essere sostituite con pezzi di metallo.

Nei luoghi dove era vietato portare armi, come nei palazzi imperiali, il guerriero teneva comunque con sé il ventaglio da guerra, uno strumento di cortesia trasformato in un’arma micidiale con stecche d’acciaio, fornite di lame affilate. Da testimonianze ricevute possiamo dire che il ventaglio in Viet Nam è giunto verso la metà del secolo scorso.

Uno dei primi a farne uso e a divulgare tale strumento fu il Maestro LE DINH LONG appartenente alla scuola Kim Ke Tay Son Nhan (scuola del gallo d’oro).

Il Mestro Foschi … 2° step

Maurizio Foschi

Sono passati quasi due mesi dalla pubblicazione della prima parte dell’intervista al nostro Maestro, è stato un periodo intenso ma ora siamo nuovamente pronti a investigare e approfondire la conoscenze del nostro Maestro. Ancora un po’ di domande che spero siano quelle che ognuno di voi avrebbe voluto fargli, nel caso invece ci siano altre curiosità, fatemelo sapere così nel prossimo step le integrerò nella lista che è ancora lunga. Potrete in ogni caso, commentare e chiedere ulteriori precisazioni attraverso questo blog.

Quando insegni sia VTC sia VVD, spieghi i fondamenti filosofici e culturali su cui si basa la disciplina: quello che noi definiamo “teoria”.
In che modo la teoria si unisce alla pratica?

Dal punto di vista filosofico, i principi del VVD e VTC sono intimamente legati alla filosofia Taoista, ne permea ogni movimento e rende visibile, concreto, il suo concetto di universo e di vita. Si tratta di un’impostazione di pensiero complessa che trova espressione in un ideogramma molto potente dal punto di vista simbolico il Tao. Nel Tao le due forze Am e Duong (in cinese Yin e Yang) che governano l’universo si completano e fondono l’una nell’altra in un continuo divenire che dà origine alla base della legge più potente che esista: La legge del mutamento, tutto cambia continuamente, fluendo tra gli estremi e passando attraverso ogni sfumatura. Lo studio della Medicina Tradizionale Cinese, della teoria dei cinque elementi, dei Bat quai. Attraverso questi fondamentali puoi apprezzare un’arte marziale e praticando comprendere come la teoria si concretizzi attraverso un gesto, un movimento. È una risposta che il corpo, la mente di un praticante può dare, e non necessariamente parole, ma sentire, un sentire interiore che poi si evidenzia nelle piccole cose.

Si potrebbe dire che la teoria è in qualche modo il linguaggio che rappresenta il movimento?

Si, per certi versi potrebbe, ma è chiaro che parlare di filosofia in questo caso significa tradurre un pensiero nella quotidianità della vita. Quando impariamo a capire quali sono i rapporti causa-effetto, riusciamo a comprendere che nell’universo tutto è in continuo movimento e mutamento, allora impariamo ad accettare in modo diverso le cose della vita, sia positive che negative. In Occidente tendiamo a evidenziare le cose che vanno male e dimenticare quelle che vanno bene …

Però la teoria non è nozionismo in questo caso… in questo caso è qualcosa di più, è un linguaggio, un modo diverso di vivere la vita di tutti i giorni, ma contestualmente rappresenta anche la cultura di questo popolo.

Certo rappresenta anche la cultura, è ovvio che l’allievo quando si accinge a praticare una disciplina, apprende da un istruttore o un maestro cenni dei principi e dei valori della stessa. Sarà lui a decidere cosa portare nella sua vita e fare veramente suoi. Non abbiamo mai cercato di trasformare le persone con il pensiero taoista, buddista o il pensiero di Confucio. Si tratta di elementi/pensieri abbinati alla nostra disciplina, ma sia VVD che VTC si basano principalmente sul rispetto nei confronti del prossimo, sul principio della disciplina, sulla scala gerarchica, sul rapporto Ying e Yang, sull’evoluzione dell’universo, del mutamento…

Per concludere potremo dire allora che la teoria aiuta il praticante a meglio comprendere/rappresentare il gesto.

Certo, comprendere il gesto ma… la teoria, se parliamo ad esempio dei poemi, non sempre sono chiari a noi occidentali. A volte una semplice parola, può racchiudere un concetto: ad esempio quando proviamo a comprendere frasi tipo “aprire le grandi acque” ci rendiamo conto che il significato è molto profondo, va oltre le parole e se volessimo tradurle nel nostro linguaggio abituale, dovremo parlare ore e ore. Si tratta di parole/frasi simbolo, che contengono un significato che va oltre l’etimologia della parola.

Bene, passiamo alla seconda domanda: Cosa si può fare in concreto per promuovere il VTC non solo come pratica sportiva, ma anche come stile di vita?

A mio avviso il VTC va promosso come un movimento che si propone di trovare l’equilibrio; quando l’essere umano trova l’equilibrio, trova salute, serenità, e cominciando a star bene con se stesso automaticamente sta bene anche con gli altri. Oggi se vogliamo promuovere e far conoscere questo movimento, dobbiamo farlo vedere, dobbiamo farlo comprendere, ne dobbiamo parlare. Certo, è anche vero che la pratica del Viet Tai Chi in Italia, in occidente, è diversa rispetto all’oriente.
Quali le differenze? In Occidente è difficile trovare alle cinque del mattino, qualcuno che pratica Tai Chi in un parco, in un giardino, invece in oriente questo accade.
In Occidente vogliamo praticare su luoghi chiusi, belli, riscaldati dove c’è massimo silenzio e comfort. In oriente il Tai Chi si pratica per strada con il rumore delle macchine. Spesso qui in Italia i praticanti vogliono creare l’ambiente adatto a isolarsi dall’esterno. In realtà quello di cui ha bisogno non è di isolarsi dall’esterno ma di cominciare a guardarsi dentro, non sarebbe già questo un modo per isolarsi dall’esterno?
Tornando alla domanda, la cosa fondamentale è farlo conoscere tramite dimostrazioni, allenamenti nel parco, e soprattutto far comprendere che è alla portata di tutti, tutti lo possono praticare, non ci sono distinzioni né di età né di sesso.

Ma, secondo te può essere più una pratica sportiva che ti possa far sentire bene, o un modo diverso di vivere la vita, le piccole cose, la natura anche la relazione con altre persone.
Possono essere combinate le due cose secondo te?
O rimangono due cose distinte?

Può diventare tutto e niente!

E da cosa può dipendere?

Questo dipende dall’uomo, ma soprattutto dagli insegnamenti del maestro, dipende da come lo vive il maestro, da come lo vive l’insegnante. L’insegnante lo dovrebbe vivere perché lui crede in quello che fa, e lo fa a prescindere dal fatto che il Tai Chi combatte specifiche patologie o perché può togliere lo stress in una settimana. Se l’insegnante per primo, non trasmette questa energia positiva e la manifesta con amore, con cuore, è difficile che ci sia dall’altra parte, qualcuno che ci può credere.
Ho la convinzione che, il Tai Chi debba essere una pratica libera, ogni persona può decidere di venire in palestra anche solo perché si allontana da casa per un paio di ore la settimana. Pratica per anni e, ad un certo punto, si rende conto che ha altre motivazioni, che anche il movimento porta beneficio. Un giorno scopre, che può vedere altri aspetti del Tai Chi; aprendo un testo, scopre cosa è l’energia, cosa sono i canali energetici e comincia ad apprezzare le qualità di una corretta respirazione e questo lo aiuterà sicuramente a viverlo in modo più profondo.

Per cui nella pratica qualcosa si innesca, ma poi dipende dall’allievo…

Potrebbe accadere subito, oppure dopo, oppure non accadere mai. Ci sono tantissimi che praticano Tai Chi e lo fanno esclusivamente per fare movimento, altri lo praticano perché sono convinti che ci sia altro, ma ancora non hanno compreso. Alcuni hanno l’essenza del grande praticante di Tai Chi e altri lo praticano ma hanno un’essenza diversa.
La migliore pratica è quella che uno fa per se stesso, e questo non significa stravolgere la propria vita. Nel proseguire se vorrà, troverà il modo di ampliare, discutere i concetti filosofici e le applicazioni pratiche, ad esempio i poemi che accompagnano le forme.

Hai fondato a Treviso quasi venti anni fa un’associazione dal nome Tinh Vo Mon. Perché questo nome e che significato ha per te?

Beh, quasi vent’anni fa era nel 1995, 18 anni per l’esattezza ho chiesto al maestro Bao Lan se poteva dare un nome al nostro gruppo di Treviso; lui ci ha dato questo nome Tinh Vo. Il suo significato è purezza dell’arte marziale. Tinh Vo è una scuola famosa che si trova in Vietnam a Saigon. Questa scuola aveva una caratteristica al suo interno, era frequentato da molti istruttori molto bravi in tutte le specialità, dal combattimento all’uso delle armi, dalle forme a mani nude alla difesa personale.
Il Maestro Bao Lan aveva riscontrato, negli allievi di quella scuola, delle similitudini con le mie caratteristiche di allievo, anche a me piaceva fare di tutto. Mi piaceva molto il combattimento così come l’uso delle armi, tecniche acrobatiche e dal 1992 anche il Tai Chi. È stato proprio in quell’anno che siamo andati insieme in Canada quando è stato fondato il Tai Chi a livello internazionale. Per questo motivo il maestro Bao Lan ha deciso di dare lo stesso nome al centro di Treviso. Tinh Vo significa purezza dell’arte marziale.

In questi anni hai “cresciuto” tanti allievi.
Alcuni di loro lo sono ancora, altri hanno abbandonato.
Che cosa rappresentano per te?
Come vivi le loro conquiste o le loro sconfitte?

Sì effettivamente ne sono passati veramente tanti. Molti sono rimasti, mi hanno seguito, sono diventati prima allievi poi istruttori. Alcuni hanno aperto anche dei centri e hanno cominciato a sviluppare e divulgare l’arte marziale vietnamita. Altri non li ho più visti.
Credo sia comunque un percorso positivo, nel senso che un maestro quando non vede più un allievo, pensa che nella vita di quell’allievo stia accadendo qualcos’altro di utile alla sua crescita. Ma la cosa di cui sono convinto, è che se anche un allievo abbandona, gli rimarrà sempre un buon ricordo del VVD perché non si è mai trattato di un allenamento, una pratica, solo dal punto di vista fisico. Ho cercato di far crescere le persone seguendo dei valori e dei principi che l’arte marziale stessa ha sempre messo in primo piano. Non ho mai voluto chiudere le porte; le porte sono sempre rimaste aperte per tutti, sia per chi è andato via, per chi vuole andare, per chi vuol restare… Quindi sono consapevole del fatto che un allievo, una volta ricevuto i suoi insegnamenti, può anche vivere il VVD in modo diverso, pur non praticandolo. Se un giorno dovesse tornare … sicuramente io ci sarò, come quando si aspetta il ritorno di un figlio. I figli crescono e un giorno se ne vanno. Ma, un giorno torneranno alla casa del padre, a trovare il loro maestro, quindi non lo vedo come un abbandono, semplicemente come parte della vita.

La parte successiva diceva le loro conquiste, le loro sconfitte che cosa ti lasciano? Che sentimento ti provocano?

Le loro vittorie, le loro sconfitte fanno parte della loro vita, io osservo, e cerco di essere presente. Anche solo osservando si può intravedere quando un allievo entra in palestra se ha o non ha voglia di fare, se pensa ad altro, oppure se è triste. Il compito di un maestro è essere a fianco del proprio allievo, essere una guida; dare le giuste indicazioni perché lui possa avere i mezzi per potersi migliorare. Non saranno consigli, perché ogni allievo ha bisogno di seguire il proprio percorso, di prendere le proprie decisioni. Solo in questo modo potrà capire quello che è giusto e quello che è sbagliato per se stesso. In oriente la figura del Maestro è quella del “Shu Phu” è un secondo padre per i suoi vo sinh a cui insegna i tesori dell’Arte marziale e i principi della vita. Il VVD ha sempre dato i mezzi per fortificare le persone e per far sì che loro crescano pur commettendo degli errori. Perché anche dall’errore si impara. Ricordo una volta, il primo maestro che ho avuto qui a Treviso, un giorno mi ha detto che sbagliando si impara, ma un altro giorno mi ha detto che evitando di sbagliare si impara meglio…
Secondo me non è proprio così, perché come puoi capire se si tratta veramente di un errore? Noi possiamo riflettere sul nostro modo di essere, del perché adottando determinati comportamenti accadono determinate cose, ma è chiaro che dobbiamo considerare chi siamo, quali sono le nostre prerogative, caratteristiche, attitudini.

Concluderei con questa domanda, peraltro ad una parte hai già risposto la domanda era:
Spesso ti sento dire: “Le porte sono aperte, è l’allievo che deve assumersi l’impegno di continuare oppure no, dipende solo da lui.
Io continuo e proseguirò per chi rimane e per chi arriva …”
È davvero così facile mantenere un rapporto così presente, ma allo stesso tempo così distaccato?

La figura del maestro è una figura che non deve mai essere confusa, il maestro può essere un amico, ma prima di tutto è maestro. Cosa vuol dire? Il maestro fa il maestro e l’allievo fa l’allievo, possono passare tantissimi anni, l’allievo rimarrà sempre allievo del proprio maestro. È da 25 anni che sono allievo del maestro Bao Lan. Oggi all’età di 48 anni nonostante sia cresciuto, sia diventato padre, sia diventato insegnante e maestro a mia volta, quando mi trovo davanti al mio maestro io sono il suo allievo. Io sono un allievo, non un maestro nei suoi confronti. Ho sempre voluto mantenere questo rapporto di rispetto e vorrei che la stessa cosa fosse fatta con me. Per progredire nella propria via, è importante mantenere il rispetto dei ruoli. Per un maestro avere un ruolo distaccato non vuol dire essere lontano dai propri allievi, ma seguirli e vegliare costantemente su di loro.

Secondo te è un’intransigenza per lo più legata alla nostra cultura o è una caratteristica che riguarda la disciplina, o un insieme di cose?

È una cosa mia personale, riguarda il mio modo di essere, probabilmente altri maestri non la pensano come me, sono completamente all’opposto o in alcuni casi anche più rigidi di quanto non sia io. Non penso si tratti di distacco, ma una forma di disciplina e rispetto, nella quale mi sono sentito a mio agio. In ogni caso ovviamente, dipende da quello che uno sta cercando. Se una persona viene in palestra, probabilmente lo fa per apprendere un’arte marziale, non per trovare un amico. Se uno cerca un maestro, si presenta da allievo, se uno cerca un amico forse lo sta facendo in un ambiente non deputato a questo. L’apprendimento, la crescita avvengono quando ci sono ruoli ben distinti, dove c’è disciplina, dove c’è impegno. A volte la confusione di ruoli può confondere e produrre effetti negativi.

Concludendo, fra un paio di giorni il nostro Maestro, rivestirà ancora una volta il ruolo di allievo e si troverà a dover superare un ennesimo esame (5° Dang di Viet Vo Dao). In bocca al lupo Maestro!

Francesca, alla prossima!