Sono passati quasi due mesi dalla pubblicazione della prima parte dell’intervista al nostro Maestro, è stato un periodo intenso ma ora siamo nuovamente pronti a investigare e approfondire la conoscenze del nostro Maestro. Ancora un po’ di domande che spero siano quelle che ognuno di voi avrebbe voluto fargli, nel caso invece ci siano altre curiosità, fatemelo sapere così nel prossimo step le integrerò nella lista che è ancora lunga. Potrete in ogni caso, commentare e chiedere ulteriori precisazioni attraverso questo blog.
Quando insegni sia VTC sia VVD, spieghi i fondamenti filosofici e culturali su cui si basa la disciplina: quello che noi definiamo “teoria”.
In che modo la teoria si unisce alla pratica?
Dal punto di vista filosofico, i principi del VVD e VTC sono intimamente legati alla filosofia Taoista, ne permea ogni movimento e rende visibile, concreto, il suo concetto di universo e di vita. Si tratta di un’impostazione di pensiero complessa che trova espressione in un ideogramma molto potente dal punto di vista simbolico il Tao. Nel Tao le due forze Am e Duong (in cinese Yin e Yang) che governano l’universo si completano e fondono l’una nell’altra in un continuo divenire che dà origine alla base della legge più potente che esista: La legge del mutamento, tutto cambia continuamente, fluendo tra gli estremi e passando attraverso ogni sfumatura. Lo studio della Medicina Tradizionale Cinese, della teoria dei cinque elementi, dei Bat quai. Attraverso questi fondamentali puoi apprezzare un’arte marziale e praticando comprendere come la teoria si concretizzi attraverso un gesto, un movimento. È una risposta che il corpo, la mente di un praticante può dare, e non necessariamente parole, ma sentire, un sentire interiore che poi si evidenzia nelle piccole cose.
Si potrebbe dire che la teoria è in qualche modo il linguaggio che rappresenta il movimento?
Si, per certi versi potrebbe, ma è chiaro che parlare di filosofia in questo caso significa tradurre un pensiero nella quotidianità della vita. Quando impariamo a capire quali sono i rapporti causa-effetto, riusciamo a comprendere che nell’universo tutto è in continuo movimento e mutamento, allora impariamo ad accettare in modo diverso le cose della vita, sia positive che negative. In Occidente tendiamo a evidenziare le cose che vanno male e dimenticare quelle che vanno bene …
Però la teoria non è nozionismo in questo caso… in questo caso è qualcosa di più, è un linguaggio, un modo diverso di vivere la vita di tutti i giorni, ma contestualmente rappresenta anche la cultura di questo popolo.
Certo rappresenta anche la cultura, è ovvio che l’allievo quando si accinge a praticare una disciplina, apprende da un istruttore o un maestro cenni dei principi e dei valori della stessa. Sarà lui a decidere cosa portare nella sua vita e fare veramente suoi. Non abbiamo mai cercato di trasformare le persone con il pensiero taoista, buddista o il pensiero di Confucio. Si tratta di elementi/pensieri abbinati alla nostra disciplina, ma sia VVD che VTC si basano principalmente sul rispetto nei confronti del prossimo, sul principio della disciplina, sulla scala gerarchica, sul rapporto Ying e Yang, sull’evoluzione dell’universo, del mutamento…
Per concludere potremo dire allora che la teoria aiuta il praticante a meglio comprendere/rappresentare il gesto.
Certo, comprendere il gesto ma… la teoria, se parliamo ad esempio dei poemi, non sempre sono chiari a noi occidentali. A volte una semplice parola, può racchiudere un concetto: ad esempio quando proviamo a comprendere frasi tipo “aprire le grandi acque” ci rendiamo conto che il significato è molto profondo, va oltre le parole e se volessimo tradurle nel nostro linguaggio abituale, dovremo parlare ore e ore. Si tratta di parole/frasi simbolo, che contengono un significato che va oltre l’etimologia della parola.
Bene, passiamo alla seconda domanda: Cosa si può fare in concreto per promuovere il VTC non solo come pratica sportiva, ma anche come stile di vita?
A mio avviso il VTC va promosso come un movimento che si propone di trovare l’equilibrio; quando l’essere umano trova l’equilibrio, trova salute, serenità, e cominciando a star bene con se stesso automaticamente sta bene anche con gli altri. Oggi se vogliamo promuovere e far conoscere questo movimento, dobbiamo farlo vedere, dobbiamo farlo comprendere, ne dobbiamo parlare. Certo, è anche vero che la pratica del Viet Tai Chi in Italia, in occidente, è diversa rispetto all’oriente.
Quali le differenze? In Occidente è difficile trovare alle cinque del mattino, qualcuno che pratica Tai Chi in un parco, in un giardino, invece in oriente questo accade.
In Occidente vogliamo praticare su luoghi chiusi, belli, riscaldati dove c’è massimo silenzio e comfort. In oriente il Tai Chi si pratica per strada con il rumore delle macchine. Spesso qui in Italia i praticanti vogliono creare l’ambiente adatto a isolarsi dall’esterno. In realtà quello di cui ha bisogno non è di isolarsi dall’esterno ma di cominciare a guardarsi dentro, non sarebbe già questo un modo per isolarsi dall’esterno?
Tornando alla domanda, la cosa fondamentale è farlo conoscere tramite dimostrazioni, allenamenti nel parco, e soprattutto far comprendere che è alla portata di tutti, tutti lo possono praticare, non ci sono distinzioni né di età né di sesso.
Ma, secondo te può essere più una pratica sportiva che ti possa far sentire bene, o un modo diverso di vivere la vita, le piccole cose, la natura anche la relazione con altre persone.
Possono essere combinate le due cose secondo te?
O rimangono due cose distinte?
Può diventare tutto e niente!
E da cosa può dipendere?
Questo dipende dall’uomo, ma soprattutto dagli insegnamenti del maestro, dipende da come lo vive il maestro, da come lo vive l’insegnante. L’insegnante lo dovrebbe vivere perché lui crede in quello che fa, e lo fa a prescindere dal fatto che il Tai Chi combatte specifiche patologie o perché può togliere lo stress in una settimana. Se l’insegnante per primo, non trasmette questa energia positiva e la manifesta con amore, con cuore, è difficile che ci sia dall’altra parte, qualcuno che ci può credere.
Ho la convinzione che, il Tai Chi debba essere una pratica libera, ogni persona può decidere di venire in palestra anche solo perché si allontana da casa per un paio di ore la settimana. Pratica per anni e, ad un certo punto, si rende conto che ha altre motivazioni, che anche il movimento porta beneficio. Un giorno scopre, che può vedere altri aspetti del Tai Chi; aprendo un testo, scopre cosa è l’energia, cosa sono i canali energetici e comincia ad apprezzare le qualità di una corretta respirazione e questo lo aiuterà sicuramente a viverlo in modo più profondo.
Per cui nella pratica qualcosa si innesca, ma poi dipende dall’allievo…
Potrebbe accadere subito, oppure dopo, oppure non accadere mai. Ci sono tantissimi che praticano Tai Chi e lo fanno esclusivamente per fare movimento, altri lo praticano perché sono convinti che ci sia altro, ma ancora non hanno compreso. Alcuni hanno l’essenza del grande praticante di Tai Chi e altri lo praticano ma hanno un’essenza diversa.
La migliore pratica è quella che uno fa per se stesso, e questo non significa stravolgere la propria vita. Nel proseguire se vorrà, troverà il modo di ampliare, discutere i concetti filosofici e le applicazioni pratiche, ad esempio i poemi che accompagnano le forme.
Hai fondato a Treviso quasi venti anni fa un’associazione dal nome Tinh Vo Mon. Perché questo nome e che significato ha per te?
Beh, quasi vent’anni fa era nel 1995, 18 anni per l’esattezza ho chiesto al maestro Bao Lan se poteva dare un nome al nostro gruppo di Treviso; lui ci ha dato questo nome Tinh Vo. Il suo significato è purezza dell’arte marziale. Tinh Vo è una scuola famosa che si trova in Vietnam a Saigon. Questa scuola aveva una caratteristica al suo interno, era frequentato da molti istruttori molto bravi in tutte le specialità, dal combattimento all’uso delle armi, dalle forme a mani nude alla difesa personale.
Il Maestro Bao Lan aveva riscontrato, negli allievi di quella scuola, delle similitudini con le mie caratteristiche di allievo, anche a me piaceva fare di tutto. Mi piaceva molto il combattimento così come l’uso delle armi, tecniche acrobatiche e dal 1992 anche il Tai Chi. È stato proprio in quell’anno che siamo andati insieme in Canada quando è stato fondato il Tai Chi a livello internazionale. Per questo motivo il maestro Bao Lan ha deciso di dare lo stesso nome al centro di Treviso. Tinh Vo significa purezza dell’arte marziale.
In questi anni hai “cresciuto” tanti allievi.
Alcuni di loro lo sono ancora, altri hanno abbandonato.
Che cosa rappresentano per te?
Come vivi le loro conquiste o le loro sconfitte?
Sì effettivamente ne sono passati veramente tanti. Molti sono rimasti, mi hanno seguito, sono diventati prima allievi poi istruttori. Alcuni hanno aperto anche dei centri e hanno cominciato a sviluppare e divulgare l’arte marziale vietnamita. Altri non li ho più visti.
Credo sia comunque un percorso positivo, nel senso che un maestro quando non vede più un allievo, pensa che nella vita di quell’allievo stia accadendo qualcos’altro di utile alla sua crescita. Ma la cosa di cui sono convinto, è che se anche un allievo abbandona, gli rimarrà sempre un buon ricordo del VVD perché non si è mai trattato di un allenamento, una pratica, solo dal punto di vista fisico. Ho cercato di far crescere le persone seguendo dei valori e dei principi che l’arte marziale stessa ha sempre messo in primo piano. Non ho mai voluto chiudere le porte; le porte sono sempre rimaste aperte per tutti, sia per chi è andato via, per chi vuole andare, per chi vuol restare… Quindi sono consapevole del fatto che un allievo, una volta ricevuto i suoi insegnamenti, può anche vivere il VVD in modo diverso, pur non praticandolo. Se un giorno dovesse tornare … sicuramente io ci sarò, come quando si aspetta il ritorno di un figlio. I figli crescono e un giorno se ne vanno. Ma, un giorno torneranno alla casa del padre, a trovare il loro maestro, quindi non lo vedo come un abbandono, semplicemente come parte della vita.
La parte successiva diceva le loro conquiste, le loro sconfitte che cosa ti lasciano? Che sentimento ti provocano?
Le loro vittorie, le loro sconfitte fanno parte della loro vita, io osservo, e cerco di essere presente. Anche solo osservando si può intravedere quando un allievo entra in palestra se ha o non ha voglia di fare, se pensa ad altro, oppure se è triste. Il compito di un maestro è essere a fianco del proprio allievo, essere una guida; dare le giuste indicazioni perché lui possa avere i mezzi per potersi migliorare. Non saranno consigli, perché ogni allievo ha bisogno di seguire il proprio percorso, di prendere le proprie decisioni. Solo in questo modo potrà capire quello che è giusto e quello che è sbagliato per se stesso. In oriente la figura del Maestro è quella del “Shu Phu” è un secondo padre per i suoi vo sinh a cui insegna i tesori dell’Arte marziale e i principi della vita. Il VVD ha sempre dato i mezzi per fortificare le persone e per far sì che loro crescano pur commettendo degli errori. Perché anche dall’errore si impara. Ricordo una volta, il primo maestro che ho avuto qui a Treviso, un giorno mi ha detto che sbagliando si impara, ma un altro giorno mi ha detto che evitando di sbagliare si impara meglio…
Secondo me non è proprio così, perché come puoi capire se si tratta veramente di un errore? Noi possiamo riflettere sul nostro modo di essere, del perché adottando determinati comportamenti accadono determinate cose, ma è chiaro che dobbiamo considerare chi siamo, quali sono le nostre prerogative, caratteristiche, attitudini.
Concluderei con questa domanda, peraltro ad una parte hai già risposto la domanda era:
Spesso ti sento dire: “Le porte sono aperte, è l’allievo che deve assumersi l’impegno di continuare oppure no, dipende solo da lui.
Io continuo e proseguirò per chi rimane e per chi arriva …”
È davvero così facile mantenere un rapporto così presente, ma allo stesso tempo così distaccato?
La figura del maestro è una figura che non deve mai essere confusa, il maestro può essere un amico, ma prima di tutto è maestro. Cosa vuol dire? Il maestro fa il maestro e l’allievo fa l’allievo, possono passare tantissimi anni, l’allievo rimarrà sempre allievo del proprio maestro. È da 25 anni che sono allievo del maestro Bao Lan. Oggi all’età di 48 anni nonostante sia cresciuto, sia diventato padre, sia diventato insegnante e maestro a mia volta, quando mi trovo davanti al mio maestro io sono il suo allievo. Io sono un allievo, non un maestro nei suoi confronti. Ho sempre voluto mantenere questo rapporto di rispetto e vorrei che la stessa cosa fosse fatta con me. Per progredire nella propria via, è importante mantenere il rispetto dei ruoli. Per un maestro avere un ruolo distaccato non vuol dire essere lontano dai propri allievi, ma seguirli e vegliare costantemente su di loro.
Secondo te è un’intransigenza per lo più legata alla nostra cultura o è una caratteristica che riguarda la disciplina, o un insieme di cose?
È una cosa mia personale, riguarda il mio modo di essere, probabilmente altri maestri non la pensano come me, sono completamente all’opposto o in alcuni casi anche più rigidi di quanto non sia io. Non penso si tratti di distacco, ma una forma di disciplina e rispetto, nella quale mi sono sentito a mio agio. In ogni caso ovviamente, dipende da quello che uno sta cercando. Se una persona viene in palestra, probabilmente lo fa per apprendere un’arte marziale, non per trovare un amico. Se uno cerca un maestro, si presenta da allievo, se uno cerca un amico forse lo sta facendo in un ambiente non deputato a questo. L’apprendimento, la crescita avvengono quando ci sono ruoli ben distinti, dove c’è disciplina, dove c’è impegno. A volte la confusione di ruoli può confondere e produrre effetti negativi.
Concludendo, fra un paio di giorni il nostro Maestro, rivestirà ancora una volta il ruolo di allievo e si troverà a dover superare un ennesimo esame (5° Dang di Viet Vo Dao). In bocca al lupo Maestro!
Francesca, alla prossima!